Recensione del libro “Una banda di idioti” di John Kennedy Toole
Il romanzo, ambientato a New Orleans nei priomi anni sessanta, vede protagonista Igniatius Jacques Reilly, un corpulento nullafacente pseudo filosofo che si ritiene un genio custode della morale, e reputa chiunque altro un mediocre ignorante. Un incidente casuale e la personalità assurda del protagonista, potano ad una serie di conseguenze impensabili che turbano la vita di più persone e raccontano uno spaccato dell’america di quegli anni.
Non è semplice recensire un libro del genere. “Una banda di idioti” ha più piani di lettura e comprensione e non tutti sono così diretti. Ad un livello superficiale, si è davanti ad una commedia dell’assurdo, con personaggi improbabili che interagiscono creando situazioni oltre la farsa. Questo potrebbe non piacere a tutti. Il secondo livello, è quello della critica al sistema americano dell’epoca, con divisioni razziali pesanti e preconcetti politico-sociali impattanti in molte fasi del quotidiano. Vi è infine una lettura psicologica di personaggi caricaturali, che però a ben guardare sono persone che noi tutti conosciamo. Un misto di conformismo, falso anticonformismo, ipocrisia e valutazioni troppo positive di sè stessi e troppo malevole del prossimo.
Se si supera lo scoglio delle situazioni surreali che arrivano ad essere non credibili, ci si accorge della volontarierà di spingere all’estremo stereotipi e grottesco per farli combaciare con l’assurdità dei personaggi creati. Questo mix produce eventi imprevedibili ed apparentemente positivi, che poi franano per ovvi motivi collegati alla realtà oggettiva, quella realtà da cui si discostano i personaggi.
Alla fine riesce complicato non definire il libro un capolavoro, anche perchè alla riflessione sulle critiche alle persone ed all’america, si uniscono le risate collegate alla situazioni farsesche che lo scrittore ha descritto. Non a caso ha vinto il Pulitzer per la letteratura ed è annoverato come uno dei classici americani del XX secolo.
La struttura letteraria del romanzo rispecchia la struttura del libro preferito dal protagonista Ignatius (il Consolatione Philosopihae del filosofo Boezio): oltre alla divisione in capitoli e sottocapitoli ed al tener fuori da questi alcuni imput narrativi, che rispecchiano il De Consolatione, nel libro di Toole vi sono degli scritti del protagonista tratti dal proprio diario oppure lettere scritte alla sua controparte femminile (Myrna Minkoff) che interrompono la narrazione “normale” del libro, così come Boezio intermezzava le parti in prosa con poesie. C’è poi un pizzico di autobiografico come alcuni lavori fatti da Ignatius ed il suo rapporto complicato con la madre.
Il libro pubblicato postumo, solo grazie alla caparbietà della madre dell’autore
Infine va evidenziato come questo romanzo è arrivato al pubblico: rifiutato da vari editori, il manoscritto venne ritrovato dalla madre di Toole nel 1969, dopo che l’autore si era suicidato. Dopo averlo letto e capitone il valore, la madre iniziò a tormentare vari editori per convinceli a pubblicarlo, ottenendo il suo scopo nel 1980. E nel 1981 arrivò il premio Pulitzer a sottolinearne la qualità. Erano passati anni, e sicuramente c’erano meno pressioni per censurare un libro così poco politicamente corretto.
Il libro comunque fu un successo anche di pubblico, tanto che davanti agli ex magazzini Holmes dove ha inizio la storia narrata, è stata posta la statua di Ignatius J. Reilly, a sottolinare ancora una volta l’importanza di questo libro che, come tutti i capolavori, non accetta via di mezzo: o lo si ama, o lo si odia.