Essere “camaleontico”, a mio avviso, è il miglior modo per svolgere il lavoro dell’allenatore. Stiamo parlando di calcio, ma non solo. Adattare il proprio modulo ai propri giocatori, valorizzandone le caratteristiche e minimizzandone i difetti, e capire quando e come modificare qualcosa del proprio essere per mettere in difficoltà l’avversario, è un valore aggiunto.
Come deve essere il miglior allenatore possibile? Deve avere un credo e plasmare la propria formazione a quello? Deve essere “duro e puro” e non modificare mai la propria idea? Deve dare una visione ed una personalità chiara alla squadra, su questo non ci piove, ma per farlo è obbligato a non cambiare mai?
Credo che tutti i tifosi del mondo vorrebbero avere una squadra incredibilmente forte, con dei top player in grado di fare numeri eccezionali, divertendosi a guardare la propria squadra proporre un gioco divertente, rapido e ben ideato. Allo stesso modo, credo che la maggior parte dei tifosi, ma forse non solo i tifosi, vorrebbero vedere la propria squadra gestire “il pallino del gioco” ed avere una sua personalità costante che imponga ai rivali la sola possibilità di difendersi.
Ma ovviamente questo non accade quasi a nessuna formazione al mondo.
Gioco offensivo, o difensivo?
Spesso una squadra lascia il gioco agli avversari per necessità, mentre altre volte lo fa per scelta. Non per forza un gioco remissivo ed improntato al contropiede ed all’errore avversario, è meno efficace e convincente di uno arrembante. Il Foggia di Zeman, era improntato soprattutto al gioco verticale, e veloce, caratteristiche affini al contropiede. Ma mai nessuno penserebbe di dare del difensivista al tecnico boemo, ovviamente.
Il Barcellona e la Spagna del tiki-taka hanno insegnato che se si parte da certi presupposti, far girare palla in attesa dell’occasione giusta può essere un modulo vincente ed anche divertente. Questo modulo, che spesso è stato erroneamente interpretato come offensivo, si basa in realtà sul non lasciare palla all’avversario, e quindi ha in realtà basi difensivistiche.
Bisogna anche valutare sempre che alcune tipologie di gioco, possono essere messe in atto solamente con alcuni tipi di interpreti. E se mentre il pressing ed il “contropiede” zamaniano prevedono tecnica ma anche e soprattutto atletica, il tiki-taka vive di intuizioni e tecnica sopraffina. Ovviamente, stiamo semplificando e banalizzando all’estremo.
Cambiare in base al materiale a disposizione
Per quanto appena detto, nonostante si possa ammirare il gioco di alcuni allenatori che riescano a rimanere “fedeli nei secoli” a un modulo e un tipo di gioco, penso che “il miglior allenatore del mondo” sia colui il quale riesca a confezionare su misura, in base ai giocatori che gli vengono dati, un modo di gioco efficace e spettacolare. E, altra dote importante, che sia in grado di modificare il proprio gioco in corso d’opera.
Certo, cambiare in continuazione vuol dire non avere le idee chiare. Ed è tendenzialmente un problema, perché non è possibile creare una routine fondamentale per tendere a non fare errori. Però dove sta scritto che per forza, cambiare modulo o giocatori in base all’avversario sia per forza un male?
Certo, con alcuni giocatori non è necessario, ma se le qualità della rosa permettono di variare moduli e schemi per mettere maggiormente in difficoltà gli avversari, perché non approfittare di questa duttilità?
Capiamoci bene, non si suggerisce di cambiare ogni partita modulo e schema, ma di saperlo fare in caso di bisogno. Bloccare una fascia perché sai che il tuo avversario la sfrutta per creare gioco, aggiungere un centrocampista perché sai che il loro regista è da seguire a uomo, inserire un attaccante veloce perché la difesa avversaria è in difficoltà nel gioco a terra rapido… beh, questo è cambiare sé stessi per mettere in difficoltà l’avversario.
Ma soprattutto il suggerimento, che pare stupido nella sua semplicità ma che a volte non è così scontato, è quello di adattare modulo e gioco alle caratteristiche dei giocatori, e non viceversa.
L’allenatore camaleontico
Quando parlo di allenatore camaleontico, parlo di questo. Qualcuno che dà gioco e personalità alla squadra in base non solo a idee fisse, ma anche alle capacità del gruppo. E che fa piccole modifiche per mettere in difficoltà il rivale, anche stravolgendo il pronostico, se necessario.
A proposito del camaleonte, su Wikipedia leggiamo che: “Alcune specie di camaleonti possono mutare il colore della pelle. A differenza delle credenze popolari, però, il fine primo del mutamento di tonalità non è la mimetizzazione, ma la manifestazione di determinate condizioni fisiche o fisiologiche, o di stati emozionali”.
Ecco quindi che l’allenatore camaleontico secondo me, non deve saper cambiare per paura della formazione avversaria, bensì deve saper modificare la squadra per andare a colpire meglio la formazione rivale.
E’ solamente una sottigliezza? Un gioco di parole? Forse è così, ma neanche tanto. E lo si capisce meglio pensando al ruolo dell’allenatore. Un allenatore camaleontico, adatta il suo “credo” ai giocatori, riuscendo a sfruttare al meglio le caratteristiche di quest’ultimi.
Non obbliga giocatori a reinventarsi in un ruolo non loro, magari facendoli rendere meno delle loro potenzialità, perché ha deciso a priori che si dovrà giocare con un modulo fisso.
L’allenatore camaleontico sceglierà il modulo e il gioco in base ai suoi uomini, e poi adatterà ancora di più le sue scelte in base alla squadra contro cui deve giocare. Fortunatamente molti tecnici ormai hanno abbandonato l’idea di un modulo fisso che obbliga i giocatori ad essere ingabbiati in uno schema, ma vi sono ancora obblighi particolari dovuti alle “mode del momento”.
In ogni caso, l’elasticità mentale che porta un allenatore ad essere camaleontico, è un valore aggiunto e non certamente un difetto.